La crema, cosa c’è di più buono di una semplice crema pasticcera?
Eppure si fa presto a dire crema.
Grumi, troppo densa, troppo liquida, farinosa…
Malgrado i pochi ingredienti e l’apparente facilità di esecuzione, se non viene fatta con tutti i crismi può riservare delle brutte sorprese.
Per evitare scivoloni che comprometterebbero inesorabilmente la nostra autorevolezza di cuochi d’eccezione, cerchiamo di capire quali sono i processi chimico-fisici che stanno dietro alla riuscita di una crema perfetta.
Uova, latte e farina.
O meglio, uova latte e amidi.
Perché la crema è una di quelle preparazioni coeliac-friendly: le ricette degli chef patissier più affermati prevedono tutti l’utilizzo di amidi, per addensare la crema, al posto della classica farina 00. Cè chi la fa con la farina di riso, chi con l’amido di mais, chi con quello di frumento (che, a meno che non sia deglutinato, per noi non va assolutamente bene), chi con la fecola. Però sempre di amidi si tratta. Perché per far venire una buona crema, dolce e morbida ma sostenuta, l’importante è la presenza della parte glucidica, non di quella proteica delle farine.
Gli amidi sono glucidi, ovvero carboidrati o saccaridi o zuccheri; gli amidi sono catene ramificate in vario modo, i cui anelli sono molecole di glucosio. Come si dispongono nello spazio, ovvero la ramificazione influenza e determina le loro proprietà (che sono state descritte anche qui)
Anzi, a dire il vero le creme più essenziali sono le creme a base di solo latte e uova, le creme della famiglia della crema inglese. A seconda della percentuale di uovo presente, possono diventare da quasi liquide a molto solide: si va dalla crema inglese che si usa per accompagnare dolci lievitati (ad esempio in questa stagione pandori e panettoni) che risulta molto fluida, alla crème brûlée e al crème caramel, che hanno la consistenza di un budino. Questa tipologia di creme sono molto delicate in cottura, non a caso vengono spesso cotte a bagnomaria, al fine di evitare l’ebollizione. Perché? Perché se la temperatura aumenta troppo velocemente, le proteine dell’uovo gelificano troppo in fretta, e si creano dei grossi filamenti di uovo rappreso (cioè coagulato) separati dal liquido che li circonda. In una parola, si ha l’effetto stracciatella, e la crema impazzisce. L’uovo deve sì gelificare, ma lentamente, e in strutture di piccola dimensione, in modo da non formare agglomerati di dimensioni percettibili. Quindi bisogna raggiungere la temperatura di gelificazione (che è circa 68°C per il tuorlo e 62°C per l’albume) e non andare oltre. Non a caso in ogni ricetta di crema inglese troverete scritto che la crema va cotta a bagnomaria, sempre mescolando, finché vela il cucchiaio. Questo è il momento in cui il tuorlo coagula, ed è il momento giusto per toglierla dal fuoco.
Le creme che contengono amidi non presentano questo rischio, perché l’amido presente inibisce la formazione dei coaguli di uova. Però presentano altri problemi.
Come è stato già detto nell’articolo introduttivo sugli amidi, ogni amido ha una sua temperatura di gelificazione, o meglio un suo intervallo di temperatura di gelificazione; così, amidi di cereali come il mais gelificano in un range di temperatura compreso tra 66° C e 74°C, mentre amidi di tuberi come le patate e la manioca gelificano in un range di temperatura compreso tra 62° C e 68° C. Le diverse temperature di gelificazione influenzano poi il risultato finale.
Tutti gli amidi sono fatti di due componenti, in percentuali diverse a seconda dell’amido considerato: amilosio e amilopectina. Entrambi sono formati da catene glucidiche, mentre l’amilosio è un polimero lineare, l’amilo-pectina è un polimero ramificato. A bassa temperatura queste catene di amilosio e amilopectina se ne stanno arrotolate, ma con il riscaldamento assorbono energia sufficiente da dipanarsi, e quindi si sciolgono in lunghi filamenti che si intrecciano gli uni con gli altri intrappolando le molecole di acqua e creando quindi a una massa collosa: è questo il fenomeno della gelificazione.
Immagine presa dal sito del Dipartimento di Chimica dell’Università di Genova
La gelificazione degli amidi, come illustra chiarissimamente Bressanini per la farina di frumento (che contiene amido), se da un lato è il processo che permette di addensare la crema, dall’altro è all’origine di uno dei più frequenti problemi: i grumi. Se infatti si mescolano gli amidi direttamente con un liquido caldo (a temperatura maggiore di 85°C, quindi ad esempio con latte bollente) , gli agglomerati di amido gelificano istantaneamente all’esterno, lasciando un nucleo asciutto. Ecco come si forma il temibile grumo.
Quindi, il primo suggerimento per una crema perfetta è quello di miscelare gli amidi non con il liquido (latte) caldo ma con il latte a freddo. Si potrà quindi mescolare l’amido con una parte di latte feddo, incorporare la cremina ottenuta alla miscela di uovo e zucchero e quindi aggiungere alla fine, a questa pastella perfetamente amalgamata, il latte caldo. In questo modo si eviterà la formazione di grumi, ottenendo una crema che fluisce morbidamente in bocca.
Mescolare gli amidi quindi con del liquido freddo ci mette al riparo da due conseguenze: i temibili grumi non si formeranno e l’amido gelificherà al momento giusto, nel posto giusto.
Ma non ci sono solo i grumi in agguato. Un altro problema piuttosto frequente, ma misconosciuto, è quello della zuppizzazione della crema. Qual è la fenomenologia? Prepariamo la nostra crema, e quando raggiunge la consistenza desiderata la togliamo dal fuoco. Tutto bene, ma lentamente, via via che la crema si raffredda, diventa sempre più liquida, e alla fine in frigo quella che ci troviamo davanti non è una crema, ma una minestra. Cosa è successo? Di solito accade il contrario: più la crema si raffredda, i liquidi evaporano e la crema si addensa sempre di più.
Mentre per la crema inglese il rischio era quello di cuocerla troppo, per la crema pasticcera bisogna evitare di cuocerla troppo poco.
Nel nostro film siamo arrivati al punto in cui gli amidi contenuti nella farina gelificano, a circa 85°C, mentre gli amidi puri di cereali gelificano tra i 66° C e 74°C e quelli da tuberi gelificano tra i 62° C e 68° C. Mentre le temperature degli amidi da tuberi sono nello stesso range di coagulazione del tuorlo e dell’albume(ricordiamo che il tuorlo coagula a 68°C e l’albume a 62°C, anche se l’albume nella crema si potrebbe proprio fare a meno di mettercelo), a temperature superiori, come quelle degli amidi da cereali (quindi mais, ma anche frumento, ecc.) le proteine dell’uovo sono già gelificate. Avendo entrambi i componenti, si saranno create delle strutture in cui sia gli amidi gelificati che le proteine dell’uovo coagulate concorrono dare consistenza alla massa. Non a caso la crema a base di uova e amidi, soprattutto se di cereali, tende ad essere più soda di quella a base di sole uova o soli amidi.
Però nel tuorlo d’uovo è presente un enzima, detto alfa-amilasi, che ha lo scopo di “digerire” ovvero rompere, le catene di amilosio riducendole in frammenti più corti, e quindi più facilmente assorbibili dall’organismo. La funzione di questo enzima è evidente.
L’amilasi è prodotta anche dal nostro organismo, soprattutto dal pancreas, e serve alla digestione degli zuccheri. È presente anche nella saliva, sotto forma di ptialina, ed è la responsabile del fatto che se si mastica a lungo un pezzo di pane o simili dopo un po’ acquisisce un sapore dolciastro: è l’amilasi che ha smembrato le catene glucidiche presenti nel carboidrato transformandole in zuccheri semplici.
Qui un’animazione del funzionamento dell’alfa-amilasi.
Purtroppo nella crema, dato che le catene glucidiche sono proprio quelle che, avvolgendosi le une sulle altre, danno luogo al gel, sarà il gel stesso ad essere distrutto dall’amilasi. Otterrò quindi un composto che magari sarà più digeribile della crema pasticcera, ma che non le somiglia nemmeno lontanamente. Finché la crema è calda, l’amilasi è temporaneamente disattivata, ma via via che si raffredda l’amilasi riprende vita e inizia la sua azione disgregatrice.
Come fare ad inattivare l’enzima amilasi? Con il calore. Se facciamo bollire la crema per un minuto o due, invece che toglierla subito dal fornello, le proteine che compongono l’amilasi si denaturano definitivamente, e questo enzima non sarà più in grado di nuocere, anche a raffreddamento avvenuto.
Come recita l’antico adagio…. la cuoca frettolosa fece i cremini liquidi!
Bibliografia
Fabiana Corami, Gluten Free Travel and Living: Come leggere le etichette: gli amidi, cosa sono e a cosa servono
Dario Bressanini, Scienza in cucina- Sui grumi della farina e dell’amido
Davide Cassi – Ettore Brocchia, Il gelato estemporaneo, Sperling & Kupfer (2005)
Hervé This, Pentole e provette, Gambero Rosso (2003)
Crafty-baking – Custard: problems and solutions
Joe Pastry – The enzyme problem
Gianna Ferretti, Trashfood: Enzimi e biotecnologie nella vita quotidiana: farine e amido idrolizzato enzimaticamente
ci ho messo anni a capirlo sto discorso della liquefazione delle creme, finché Maurizio Santin una volta mi disse: semplice…è poco cotta! 😀 bel post Gaia!
Grazie Gaia!!! Ho finalmente avuto una risposta esaustiva e comprensibile al mio ormai decennale problema..”perché la mia crema quasi sempre raffreddando si liquefa?”…
Grazie ancora!!