I cibi goitrogenici… parolona o parolaccia scientifica? Stavolta cosa spunta dal cappello a cilindro di Madama Scienza?
Siamo davvero sospesi tra mito e realtà?
I cibi goitrogenici sono stati studiati dalla fine degli anni ’20, in relazione all’incidenza del gozzo (essenzialmente quello non tossico, ad esempio quello legato all’ipotiroidismo). Goitrogenico definisce, infatti, qualsiasi sostanza in grado di sopprimere la funzione tiroidea e di interferire quindi con l’assorbimento di iodio da parte della tiroide; goiter significa gozzo in inglese, quindi goitrogenico è ciò che può provocare il gozzo.
Nella sua pubblicazione del 1957, il dott. Greer indica una lista di cibi con effetto goitrogenico, con effetto goitrogenico da verificare e con effetto goitrogenico nullo; tra i primi, sono presenti ad esempio gli spinaci, le fragole e persino le carote, mentre nei secondi troviamo le brassicacee o crucifere, ovvero tutti i cavoli, ma anche il latte (vaccino), le noci, l’arancia. La pubblicazione è piuttosto datata, però indica come il problema di alimenti che potessero interferire o influenzare l’attività della tiroide sia sempre stato molto studiato.
Attualmente, è noto che le brassicacee o crucifere siano definiti goitrogenici, assieme al solito sospetto, ovvero alla soja, ma anche come altri alimenti “insospettabili” come il miglio, come i semi di lino, come i pinoli, le pere ed udite udite…il glutine!
In momenti di alto pathos come questi, Topolino avrebbe cominciato con il mumble mumble… la sottoscritta ha cominciato a spulciare articoli e co. …
Intanto, va detto subito che al contrario di quanto si creda, il consumo normale di cibi definiti goitrogenici da parte di persone sane non comporta la comparsa del gozzo, neanche in caso di consumi eccessivi. Inoltre, non sembra essere del tutto corretto dire che tali cibi, inseriti ormai in diverse liste più o meno aggiornate, contengano sostanze goitrogeniche.
Allora cosa è corretto?
Certamente, persone con uno stato di salute già compromesso, come ad esempio chi soffre di ipotiroidismo o di gozzo o di tiroidite di Hashimoto, potrebbe essere influenzato negativamente da alcuni fattori, anche legati agli alimenti, che vadano ad interferire con il metabolismo dello iodio.
Ad esempio, in zone dell’Asia, dell’Africa e anche dell’America Latina, nei terreni è presente una bassa concentrazione di selenio. Cosa c’entra il selenio con i cibi goitrogenici? Intanto i vegetali crescono sul terreno, poi il selenio è necessario al supporto di alcune attività della tiroide, quindi problematiche tiroidee relative ad un assorbimento di iodio carente o borderline possono essere decisamente peggiorate da una carenza di selenio.
‘ste maledette (benedette?) sinergie…
Sempre restando in tema di tavola periodica ed elementi, anche con il ferro mica va tanto bene… Infatti, una carenza di ferro interferisce con la sintesi degli ormoni tiroidei. Spesso la carenza di iodio e ferro si combinano sinergicamente, tanto che in alcune zone del mondo non solo il sale è iodato, ma anche arricchito di ferro.
Altro problema è rappresentato da una classe di composti: i tiocianati o isotiocianati. Dove si possono ritrovare questi composti? In tutti i cavoli possibili ed immaginabili…nel senso di brassicacee, o crucifere che dir si voglia. E non solo in quelli! Ovviamente, per una persona sana che mangia cavoli e co. non aumenta il rischio di malattie tiroidee, però per tutte quelle persone con storie di malattie tiroidee e/o affette da malattie tiroidee, è doveroso consigliarsi con il proprio specialista per individuare la migliore strategia alimentare, soprattutto se le brassicacee siano consumate crude.
Quindi, non è sempre necessario eliminare tout court dalla propria alimentazione cibi importanti, come i cavoli, perché lo specialista può valutare, ad esempio, l’assorbimento giornaliero di iodio, il dosaggio di ormone tiroideo sintetico, ecc.
Assieme ai tiocianati, altra grande problematica è rappresentata dagli isoflavoni…ed ecco che arriviamo alla soja. Gli isoflavoni, ma in generale tutti i flavonoidi, possono interferire con l’attività della perossidasi tiroidea, un enzima importante per la formazione della tirosina.
Per inciso, i flavonoidi non sono solo nella soja, ma sono presenti nelle piante, in genere.
In questo caso sembrerebbe giocare un ruolo importante la quantità di isoflavoni e di flavonoidi in genere nella dieta. Un contenuto di isoflavoni da soja intorno a 140 mg al giorno (un etto di tofu ne contiene circa 40 mg) nella dieta di una persona sana non apporta un aumento del rischio di malattie tiroidee, soprattutto se il contenuto di iodio nella dieta è garantito; tale quantitativo potrebbe essere importante per persone con affezioni tiroidee, però parlando con lo specialista si può valutare sia l’apporto di iodio sia il dosaggio degli ormoni tiroidei necessari e non escludere completamente dalla dieta un alimento come la soja. Inoltre, è importante sapere che la soja tal quale e quella processata, quindi trasformata (ad esempio fermentata, cotta, ecc.) può notevolmente diminuire l’attività interferente degli isoflavoni.
Il discorso soja sarà approfondito ulteriormente in un prossimo articolo; posso anticipare che in alcuni casi l’esclusione della soja dalla dieta è legata a conoscenze datate, oppure al fatto che in alcuni luoghi è molto difficile trovare soja non trattata – quindi non è l’alimento in sé, ma ad esempio pesticidi e altri fattori ambientali che possono determinare l’esclusione di tale alimento dalla dieta.
In ogni caso, piuttosto che restare sospesi tra mito e realtà, meglio informarsi, parlare con gli specialisti e mangiare anche la soja, magari accompagnandola da una ottima lettura di miti greci!
Per quanto riguarda il glutine, va detto che la gluten sensitivity (la sensibilità al glutine) va a braccetto molto volentieri con tutta una serie di altre sindromi e malattie autoimmuni, compreso il diabete di tipo I e anche la tiroidite di Hashimoto. Il consiglio che viene più spesso dato a chi soffre di malattie tiroidee autoimmune è quello di verificare la compresenza di celiachia o di gluten sensitivity, quindi di adottare poi uno stile di vita senza glutine; in ogni caso, molti specialisti consigliano di limitare l’introduzione di glutine nella dieta ai pazienti che soffrono di ipotiroidismo autoimmune.
Peccato che alcuni pazienti rinuncino più facilmente al cavoletto di Bruxelles o al cavolo nero e alla soja, ma non al glutine… meditiamo gente, meditiamo…
Il dibattito tra gli specialisti si è comunque fatto acceso, poiché in molti considerano la completa esclusione – vivamente consigliata ancora oggi da alcuni – come unica alternativa, mentre altri pensano che essa sia oltremodo datata, perché il work in progress della ricerca ha apportato ulteriori importanti informazioni. Sono in molti ormai a dire che la moderazione adesso sia la via, ovvero i goitrogenici possono essere consumati cum grano salis anche da chi è affetto da malattie tiroidee, anche perché sembrerebbe che più che i cibi goitrogenici siano i goitrogenici di sintesi, presenti in pesticidi, principi attivi di medicinali, ecc., ma anche i nitrati o gli elementi in tracce, quali arsenico e mercurio, ad avere un peso maggiore sulle attività tiroidee. Ovviamente, alcuni sono maggiormente controllabili di altri…
In ogni caso, consigliarsi con il proprio specialista, informarsi, seguire una dieta bilanciata e variata, magari con apporto di frutta e verdura biologica o comunque da agricoltura integrata è sicuramente un’ottima linea guida.
Non mi resta che dire cavoli e soja per tutti… sempre con moderazione!
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