C’è posto per cereali e tuberi antichi nell’alimentazione del futuro? È una delle domande, e dei tentativi di risposta, di EXPO, che proprio a questo tema ha dedicato uno dei suoi cluster. E per i celiaci e chi soffre di gluten sensitivity, cereali e tuberi antichi possono essere un’alternativa?
Il pane di grano è cibo sacro per i cristiani, simbolo di comunione dell’uomo con Dio. Il pane azzimo, lievitato meno di 18 minuti, è il simbolo della pasqua ebraica, della fuga del popolo ebraico dalla dominazione egizia. La sacralità del grano nelle grandi religioni monoteiste nasce dal fatto che il grano, e i suoi parenti stretti farro e orzo, sono state le coltivazioni più diffuse nelle regioni Mediterranee e nella Mezzaluna Fertile dagli albori della civiltà.
Ma non è sempre stato così, e non ovunque. Secondo la mitologia dei Dogon del Mali la divinità creatrice avrebbe creato l’intero universo dall’esplosione di un chicco di fonio.
Fonio? E cos’è il fonio? È un cereale antico africano, che potrebbe assurgere a nuova gloria così come è accaduto alla quinoa e sta accadendo al teff. Tutti e tre, preme dirlo, senza glutine. E con questo rispondo già alla seconda domanda. I cereali e tuberi antichi sono di grande interesse per noi, perché sono senza glutine.
Almeno due degli otto Millennium Development Goals delle Nazioni Unite, Eradicare la fame e la povertà estrema e Assicurare la sostenibilità ambientale, hanno a che fare con questo tema.
Nell’ultimo secolo l’agricoltura ha visto uno sviluppo esponenziale. Cosa ha reso possibile tutto ciò? La meccanizzazione delle attività agricole, che ha razionalizzato e velocizzato le lavorazioni; l’utilizzo di prodotti chimici che hanno permesso di ridurre l’impatto di malattie e parassiti, lo sviluppo della biologia che ha selezionato specie più produttive e resistenti.
Più cibo per tutti, ma a che prezzo? Un prezzo molto caro: riduzione della biodiversità, ingentissimi danni ambientali, ma anche devastazioni sociali.
Quindi dobbiamo tornare a prima dell’invenzione dell’aratro? Ovviamente no. Bisognerebbe riuscire a quadrare il cerchio, mantenendo produttività elevate, necessarie a sfamare una popolazione mondiale in continuo aumento, ma con un cambiamento di rotta quanto a sostenibilità ambientale.
È in questa battaglia potrebbero risultare alleati prezioni colture quasi dimenticate, che però presentano indubbi vantaggi.
Ad esempio appunto il fonio, sopra citato: una pianta che cresce in zone aride, avendo bisogno di pochissima acqua, e che è in grado di dare sette/otto raccolti per anno, essendo peraltro molto interessante dal punto di vista nutrizionale. Non a caso è il più antico cereale ad essere stato coltivato nell’Africa centro-occidentale, fra il Senegal e il lago Chad, e ha nutrito per migliaia di anni le popolazioni di questa reigone dell’Africa. Ma non c’è solo il fonio. Ad esempio a est della zona del fonio troviamo il panico o miglio indiano, altro cereale antico, alimento principale delle popolazioni dell’Africa Orientale ma anche meridionale, prima dell’introduzione del mais. Anche il panico indiano è un cereale resistente alle temperature elevate e alla siccità, perfetto da coltivare in regioni povere d’acqua.
Per restare nel mondo dei cereali ci sono il teff e la quinoa abbiamo già parlato, noi di Gluten Free Travel and Living. E di nutriceutica e alimenti funzionali o super-food, come va di moda dire, tutti termini che saltano fuori tutte le volte che si parla di cereali antichi.
Fra i tuberi antichi, uno dei più usati al mondo, e usatissimo anche da noi celiaci, è la manioca, o tapioca o cassava. Ingredienti molto presenti nei nostri mix di farine naturalmente senza glutine, è la terza fonte di carboidrati più utilizzato nel mondo tropicale, dall’Africa all’America del Sud. Si tratta del tubero commestibile della Manihot Esculenta, e viene consumato grattugiato, oppure ricavandone l’amido. Così come accade con l’igname, pianta erbacea che si coltiva in tutte le regioni tropicali, dall’Africa all’America alla Cina.
Questa carrellata apre una finestra sul mondo delle fonti di carboidrati che non è assolutamente limitato alla triade grano-mais-riso, indubbiamente i cereali più contivati al mondo.
Ed è importante conoscerli, ed utilizzarli, e questo al di là degli aspetti meramente nutrizionali. L’aspetto chiave del recupero della coltivazione di queste piante tradizionali, che, ognuna in determinate aree, ha nutrito l’umanità per millenni, è la ricerca di un’alternativa alle monocolture intensive di grano, mais e riso, tutte molto onerose dal punto di vista ambientale, non foss’altro che per le ingenti quantità di pesticidi e sostanze chimiche utilizzate in questo tipo di agricoltura.
In nome di un’agricoltura più sostenibile, più rispettosa dell’ambiente, e della biodiversità che ne è uno dei punti fondanti. Il tutto coniugando tradizione e innovazione: per poter rappresentare un’alternativa significativa, è necessario che anche le coltivazioni tradizionali riescano ad andare oltre rispetto all’agricoltura di sussistenza di stampo familiare, adottando tecniche e metodologie più moderne, per aumentare resa e produttività, ma non per questo snaturando l’idea di prodotti coltivati in modo più rispettoso dell’ambiente. Compromesso impossibile? No, a giudicare dai molti progetti messi in campo in questa direzione. Uno dei rischi, paradossalmente, è proprio sta proprio nel finire sotto i riflettori e diventare alimenti di moda, soprattutto sulle tavole del ricco occidente. Se da un lato uscire è positivo, per le economie dei paesi produttori, aprirsi al mercato anche occidentale, si deve però evitare che per soddisfare la richiesta onnivora dell’occidente questi diventino prodotti esclusivamente da esportazione, lasciando alle popolazioni locali prodotti di minore qualità nutrizionale.
belissimo articolo Gaia, grazie!
Sai cosa ho mangiato proprio ieri? Un “couscous” di fonio! A me piace molto!
Fonio??? Ma ne conoscete una più del… 😀
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