La gluten sensitivity esiste?

La gluten sensitivity esiste o non esiste? Edizione straordinaria!

Dopo che avevamo provato a fare un po’ di chiarezza con i nostri post a lei dedicati (I puntata, II puntata e III puntata), ecco che tramite il tam tam della comunicazione il dubbio amletico torna al suo pieno fulgore

Link: GuardianLV

Link: I fucking love science

Link: Ciencias

Allora questa gluten sensitivity esiste o no? Ottima domanda!
Come sempre, per cercare una possibile risposta, non solo ho letto quanto riportato dai tre links, ma soprattutto sono andata a cercarmi la pubblicazione scientifica dalla quale tutto ha avuto origine.
Il titolo di tale pubblicazione è il seguente:
No effects of gluten in patients with self-reported non coeliac gluten sensitivity after dietary reduction of fermentable, poorly absorbed, short chain carbohydrates.
Autori: J.R. Biesiekierski. S. L. Peters, E.D. Newnham, O. Rossella, J.G. Muir and Peter R. Gibson.
Immediatamente da notare che:
a) I titoli degli articoli linkati sembrano aver poco a che vedere con il titolo della pubblicazione scientifica,
b) nel titolo della pubblicazione scientifica salta immediatamente all’occhio “self reported”.
Traduco il titolo per i non anglofoni: Non effetto del glutine in pazienti con autodiagnosi di gluten sensitivity non celiaca, dopo la riduzione nella alimentazione di carboidrati fermentabili, poco assorbiti e a catena corta.
L’immediato passo successivo, accompagnato o meno da sobbalzo dalla sedia, è quello di fare un distinguo essenziale: autodiagnosi e diagnosi per esclusione non sono la stessa cosa.
L’autodiagnosi è quando diagnostico a me stesso la causa di una sintomatologia.
La diagnosi per esclusione intanto si fa accompagnati da un medico, il quale esamina la sintomatologia, prescrive una serie di test medici, generali e specifici, e sulla base dei risultati o sulla base della loro assenza pensa che per quella sintomatologia c’è un fattore scatenante (trigger), il quale va allontanato/minimizzato/eliminato Molto spesso, non ci si rivolge solo ad un medico, ma a più medici perché possono essere coinvolte diverse aree del corpo.

A tale proposito, consiglio di rivedere la II puntata sulla gluten sensitivity.

Paradossalmente, l’autodiagnosi è quando diagnostico lo stress come causa della mia unghia incarnita infetta, mentre la diagnosi per esclusione dell’unghia incarnita infetta è una infezione virale, dopo aver escluso ogni possibile ed eventuale infezione da batterio, gram negativo o gram positivo, cocco o bacillo, ecc.

E’ verissimo che, purtroppo, ad oggi, vista la mancanza di test specifici e considerati i limiti di rivelabilità dei test attuali, la diagnosi di gluten sensitivity è spesso fatta per esclusione. Però, non è autodiagnosi (it is not self reported!)!

Lo studio è stato condotto su pazienti provenienti dall’area metropolitana di Melbourne, Australia.

Qual è il criterio con cui questi pazienti sono stati scelti?

I pazienti sono stati scelti tramite avvisi, newsletters, giornali e tramite segnalazione da nutrizionisti privati e da cliniche gastroenterologiche.
Le caratteristiche principali dei pazienti dovevano essere:
• l’aver superato i 16 anni di età
• la presenza di sintomatologia da sindrome dell’intestino irritabile (Irritable bowel syndrome IBS) secondo il criterio Roma III* e, contemporaneamente, l’auto-riportare che tale sintomatologia migliorava in assenza di glutine (gluten free diet, GFD)
• una sintomatologia ben controllata nell’ambito di una alimentazione senza glutine
• il seguire da almeno 6 settimane prima dell’inizio dello screening una dieta senza glutine – questo doveva essere attestato tramite intervista con un nutrizionista esperto.
Fondamentale – scrivono nell’articolo – che la celiachia fosse completamente esclusa sia a livello genetico (quindi tests di HLA-DQ2 e HLA – DQ8) sia attraverso biopsia negativa. Inoltre, pazienti con importanti malattie gastrointestinali (ad es. cirrosi, o IBS conclamato), con l’assunzione eccessiva di alcool o di farmaci antiinfiammatori non steroidei, con l’uso di immunosoppressori, con disturbi – anche leggeri – della psiche o con l’incapacità di dare il consenso informato, venivano esclusi.

Altro distinguo fondamentale: oltre all’auto diagnosi, nessuna delle persone prescelte per questo studio presentava malattie o altre sindromi autoimmuni, quale la tiroidite di Hashimoto o il diabete di tipo I o malattie reumatologiche autoimmuni, ecc..

La ricerca scientifica sta infatti studiando da tempo il problema glutine nell’ambito di diverse sindromi e malattie. In presenza di glutine la sintomatologia peggiora sensibilmente per poi migliorare nel momento in cui il glutine è allontanato dalla dieta. Ovviamente, servono altri studi epidemiologici (test in doppio e triplo cieco, che non è sempre facile allestire), test di reintroduzione, ricerche genetiche, ricerche sulla struttura delle proteine (proteomica), studi sinergici, ecc.
Come si legge, il quadro è molto complesso. All’interno di questo quadro, ci sono pazienti che soffrono. Poiché si parla di terapia del dolore, di evitare il dolore inutile, il medico può far escludere dalla vita del paziente tutti i possibili inneschi della sintomatologia, nel caso specifico il glutine.
Chiaramente questo non significa nella maniera più assoluta che le ricerche non debbano svilupparsi ed approfondirsi.

Qual era il protocollo di studio?
Il test era un test randomizzato a doppio cieco, con controllo dell’effetto placebo.
Prima settimana: dieta tipica per il paziente con annotazione della sintomatologia
Seconda e terza settimana: dieta senza glutine, ma anche a basso contenuto di FODMAPs, ovvero di polioli, monosaccaridi, disaccaridi e oligosaccaridi a bassa fermentazione (ad es. fruttani).
Quarta settimana: o una dieta ad alto contenuto di glutine (16 g/d di glutine da frumento integrale) o una dieta a basso contenuto di glutine (2g/d di glutine da frumento integrale e 14 g/d di proteine del siero di latte) o una dieta placebo (16 g/d di proteine del siero di latte).
Quinta e sesta settimana: periodo di mantenimento, per far regredire i sintomi indotti dalla quarta settimana.
3 giorni di rechallenge: i pazienti venivano scelti nuovamente a caso per essere sottoposti a una delle tre diete della quarta settimana
3 giorni di mantenimento: periodo di mantenimento per far regredire i sintomi indotti dal rechallenge.
Ovviamente, nel caso i cui le manifestazioni negative fossero intollerabili, il paziente poteva lasciare questo test in ogni momento e tenere comunque un diario per verificare la sintomatologia e la sua eventuale remissione.
Tutti coloro che partecipano al test erano seguiti e monitorati (visite mediche, tests, ecc.)
Inoltre, le proteine del siero del latte (che quasi sempre è latte vaccino) erano certificate essere prive di lattosio e a basso contenuto di FODMAPs.

Mia considerazione (e perplessità) sulla quale invito a riflettere: l’intolleranza primaria al lattosio è diffusa, ma è ancor più diffusa l’intolleranza secondaria al lattosio (leggere qui, ad esempio). Se tolto il lattosio restano le proteine, il problema potrebbe permanere. Ricordo che sto parlando di intolleranza, non di allergia.

I risultati ottenuti dalle varie alternative dietetiche non si differenziano molto tra loro, sebbene ci siano alcuni punti poco chiari. Alcuni pazienti hanno interrotto comunque questo test, in diversi punti, perché la loro sintomatologia era poco sopportabile. Comunque nell’ultima settimana della dieta di trattamento (la terza settimana), globalmente si osserva un peggioramento della sintomatologia.

Dove ci porta tutto questo? Ovvero arriviamo alla discussione dei risultati.
Nella pubblicazione si legge che alcuni dei pazienti non erano affatto sintomatici dall’inizio (autodiagnosi, self reported), nonostante miglioramenti dopo aver scelto una dieta priva di glutine.
La riduzione di FODMAPs ha ridotto la sintomatologia gastrointestinale e l’affaticamento e nel rechallenge l’induzione della sintomatologia da parte del glutine non era dimostrabile.
Nella pubblicazione si legge che rispetto agli studi precedenti:
• c’è stato un maggior controllo sulla dieta,
• sono stati forniti cibi a basso contenuto di FOMAPs e senza glutine,
• non sono stati forniti prodotti caseari durante la dieta, tranne le proteine del siero di latte (N.d.A: rileggere quanto ho scritto sopra in merito ad esse)
• è stato riscontrato un effetto nocebo, ovvero presenza di sintomatologia nei pazienti che erano sottoposti al trial placebo, nel quale venivano somministrate solo proteine del siero di latte
• le continue visite mediche, i tests di controllo (controllo sangue, controllo feci, accelerometri, questionari giornalieri, diaro della sintomatologia) e il seguire una dieta restrittiva possono, secondo gli autori, essere stati percepiti come stressanti e quindi possono aver contribuito alla presenza di sintomatologia in tutte le diete di trattamento e aver contribuito all’effetto nocebo
• nello studio i test sierologici (per le immunoglobuline, ad esempio) erano per la maggior parte negativi rispetto ad altri studi sulla gluten sensitivity, tranne qualche eccezione
• dettaglio fondamentale: i pazienti scelti per questo studio erano stati sottoposti a uno screening preliminare per escludere totalmente la celiachia, anche la presenza di linfociti intraepiteliali – sottolineo ancora una volta che però, oltre alla celiachia, i pazienti di questo studio non lamentavano sindromi o malattie autoimmuni diverse dalla celiachia
• le fonti di glutine per la dieta erano differenti da quelle utilizzate negli studi precedenti: infatti, pur essendo il contenuto del glutine simile, le proteine non glutiniche non erano state caratterizzate e quindi potevano essere presenti inibitori dell’α-amilasi o della tripsina (N.d.A: l’importanza dello studio della proteomica)

Le conclusioni di questo studio sono: il glutine potrebbe indurre sintomatologia in presenza dei FODMAPs e tale ruolo andrebbe ulteriormente verificato – ad esempio diversi cereali contengono fruttani, che rappresentano un problema nei pazienti con IBS; questo studio non approfondisce il ruolo del glutine per quanto concerne la depressione o altre malattie/disordini neurologici; in questo studio è stato osservata una elevata risposta nel trial placebo e si parla di effetto nocebo.

Quindi, potrebbe esserci confusione tra gluten sensitivity e problematiche relative ai FODMAPs; in ogni caso per il gruppo statisticamente rappresentativo e altamente selezionato di questo studio il glutine non rappresenterebbe un innesco della sintomatologia (N.d.A. nello specifico dell’aumentata permeabilità intestinale, leaky gut) nel momento in qui sono ridotti nell’alimentazione i FODMAPS.

Tali conclusioni sono cosa ben diversa però dal dire tout court che la gluten sensitivity non esiste.

Le mie riserve su questo studio non sono relative alle conclusioni, ma al fatto che in questo studio mancano completamente pazienti che soffrono di altre sindromi/malattie autoimmuni, che presentano un quadro alterato del sistema immunitario, ma non presentano i markers specifici per la celiachia (discorso a parte andrebbe fatto sui limiti di rilevabilità dei tests, che sono comunque continuamente un work in progress), che sono giunti ad eliminare il glutine per esclusione dalla loro alimentazione sotto controllo medico, dopo un iter lungo, spesso di diversi anni, fatto di svariati tests e diverse visite mediche.

Siamo forse su piani paralleli, ma differenti?
Come la teresina e il texas hold’em riguardano il poker, ma sono differenti, la complessità e le sinergie delle malattie autoimmuni sono sicuramente ancora tutte da esplorare, a prescindere da mode (craze) del momento.
Quindi, la domanda iniziale sull’esistenza o meno della gluten sensitivity, come anche gli interrogativi posti dai links in merito alla pubblicazione scientifica australiana, andrebbero riformulati, augurandoci che la comunità scientifica cerchi di fornire risposte adeguate ad una piovra di problemi.

glutensensitivity2

*I criteri di Roma sono dei criteri diagnostici stabiliti da una commissione internazionale per definire la diagnosi e le linee guida per il trattamento dei disordini funzionali gastrointestinali (FGIDs), quale ad esempio la sindrome dell’intestino irritabile (IBS).

Fonti bibliografiche e fotografiche
Biesierski et al, Gastroenterology 2013, 145:320-328
Bibliografia della I, II e III puntata della gluten sensitivity
it.wikipedia.org
en.wikipedia.org
www.jodileenutrition.com
www.romecriteria.org

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4 Commenti - Scrivi un commento

  1. Io l’anno scorso ,tramite l’ospedale della mia città sono stata sottoposta a i test in doppio ceco, e alla dieta a basso contenuto di fodmaps , alla fine risultava che il glutine non era il problema , a detta loro , che dovevo mantenere la dieta senza fodmaps e senza glutine . Un contro senso

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  2. Fabiana Corami

    Cara Raffaella,
    non conosco bene la tua situazione clinica, però in effetti convengo che per un paziente sentirsi dire il glutine non è il problema, però tu segui una dieta senza FODMAPs E SENZA GLUTINE suona come un contro senso.
    Va detto che anche per quanto concerne la sindrome da intestino irritabile ci sono dubbi su chi sia l’innesco, chi dice i FODMAPs, chi dice il glutine, chi dice entrambi.
    Ecco!
    In questo labirinto c’è poi sempre il paziente che deve convivere con qualcosa che può debilitarlo seriamente.
    Credo fermamente che quello di cui abbiamo bisogno è ricerca, informazione, conoscenza.
    I titoli perentori lasciamoli pure perdere.
    Buona serata

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  3. FRANCESCA-CIOCCOFRANCESCA · Edit

    Mah…io non sono una scienziata e sarà che tu spieghi bene, ma anche a me risulta “strana” la composizione del gruppo di pazienti, dato che anche la gluten sensitivity come la celiachia sarebbe un tantino sistemica (o no?) quindi persone con “soli” disturbi all’intestino possono oppure no essere rappresentative. Poi a me sembra strana anche la tempistica. So che la GS è molto più “rispondente” della celiachia nei sintomi, ma cavolo! Boh, vabbé, io non son scienziata.
    Comunque secondo me ci vorranno molti anni prima di avere risposte… Da profana dico che il mosaico che si andrà a comporre prossimamente secondo me è quello unico dei “disturbi glutine correlati” come hai detto anche tu altrove. Un giorno, leggendo qua e là di celiachia, riflettevo tra me e me che anche la famosa lesione intestinale potrebbe, un giorno, non essere più il fatto discriminante. Leggevo infatti che mentre un tempo si sconsigliava la dieta ai “predisposti geneticamente, con esami vari positivi ma senza lesione” oggi ci sono pareri che vanno verso la “dieta preventiva” anche in casi asintomatici. Questo per dire pure io che tutto questo campo è in evoluzione… E che nel frattempo c’è gente che soffre, come dici tu. E io aggiungo: la gente deve -possibilmente – anche andare a lavorare per vivere e capire che cosa fare se continua a stare male e dopo innumerevoli peregrinazioni nessuno gli dà una risposta. Dunque io, pur facendo affidamento alla scienza e condividendone i metodi, capisco anche chi si fa l’autodiagnosi tramite l’erborista di turno – e nel giro di qualche settimana di dieta senza glutine si rimette un pò in sesto e torna a fare una vita normale che gli consente di lavorare. E non è che tutti hanno poi tempo e soldi per farsi i vari test o challenge per confermare… o magari li riservano a patologie più gravi e urgenti. Purtroppo secondo me oggi bisogna dire anche questo.
    Scusa il comizio.
    Ciao 🙂
    Francesca

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