La lievitazione è un processo, che io definisco meraviglioso, indipendentemente dall’agente lievitante utilizzato.
Eh sì! … Si fa presto a dire lievito, ma di quale lievito vogliamo parlare?
Lasciando per un momento da parte il lievito di birra, la pasta di riporto ed il lievito madre, delle quali parleremo in un altro momento, lasciamo da parte anche la lievitazione fisica, che permette ad esempio alla pasta sfoglia di sfogliare in forno, parliamo invece del lievito chimico, anzi dei lieviti chimici.
Esistono infatti diversi tipi di lieviti chimici.
Visto che di chimica si deve parlare, addentriamoci subito nei suoi meandri e cerchiamo di capire chi è il lievito chimico e come agisce.
Un lievito chimico permette l’aumento di volume e la diminuzione della densità e alleggerisce la consistenza di torte, biscotti, ecc.; tutto questo è permesso dalla reazione chimica dei componenti del lievito che rilascia anidride carbonica e acqua all’interno della pastella o dell’impasto. Come è possibile ciò? Gli ingredienti del lievito chimico sono generalmente una base debole (ad esempio bicarbonato di sodio) e un acido debole (come il bitartrato di potassio, meglio conosciuto come cremor tartaro). Può essere presente in aggiunta un amido inerte, solitamente amido di mais o fecola di patate. La reazione acido-base produce anidride carbonica più velocemente che la fermentazione.
L’aggettivo chimico indica non solo la rapida reazione chimica di questi ingredienti, ma anche la differenza dai lieviti biologici, che mettono in atto il processo di fermentazione.
La reazione acido-base può essere genericamente rappresentata così:
NaHCO3+ H+ → Na+ + CO2 + H2O
(da Wikipedia)
La presenza dell’amido ha una ragione precisa; infatti, esso assorbe l’umidità e quindi prolunga la durata del lievito, mantenendo secchi le basi e gli acidi, evitando che reagiscano prima del tempo. Quindi, può essere conservato tranquillamente per lunghi periodi. Generalmente si trova in bustine singole già miscelate, ma ad esempio all’estero è comune trovare la baking powder – che è analoga al nostro lievito in bustina – in barattoli, con chiusura ermetica. Inoltre, la polvere secca si può miscelare con più facilità ed il dosaggio può essere più accurato, perché è più semplice pesare il prodotto.
Davvero non invecchia il lievito chimico?
Per verificare quanto detto, cioè se i componenti sono ancora in grado di sviluppare anidride carbonica, si può fare un semplice test: basta versare una punta di lievito in un bicchiere con poca acqua calda e vedere se fa l’effetto di una aspirina effervescente, ossia se reagisce. Però, va detto che i lieviti con pirofosfati o altri fosfati, la reazione potrebbe non essere così evidente come nel caso della reazione tra cremor tartaro e bicarbonato di sodio.
Ho detto che la base è generalmente il bicarbonato di sodio, ma chi è l’acido della situazione?
Prima di svelare il mistero, va anche detto che esistono diversi tipi di lievito chimico, non solo per la composizione degli ingredienti, ma anche nella modalità di azione.
L’acido presente nel lievito può essere infatti ad azione lenta o rapida. Nella miscela umida, un acido ad azione rapida reagisce la base a temperatura ambiente; invece un acido ad azione lenta reagisce soltanto quando la miscela sarà scaldata nel forno. I lieviti chimici possono essere a singola azione (o temperatura ambiente o nel forno), ma possono essere anche a doppia azione, ovvero posso reagire in entrambi i casi. Poiché permettono una seconda lievitazione nel forno, i lieviti chimici a doppia azione sono più affidabili; il tempo, che passa dalla fase di impasto a quella della cottura, non rappresenta un passaggio critico. I lieviti chimici a doppia azione sono quelli più diffusi, attualmente. Nei lieviti chimici a doppia azione, gli acidi possono lavorare a bassa o alta temperatura; acidi che lavorano a bassa temperatura sono, ad esempio, il cremore di tartaro e il fosfato monocalcico, mentre acidi, che funzionano ad alta temperatura, sono il solfato di sodio alluminio, il fosfato di sodio alluminio e il pirofosfato acido di sodio.
Oltre alla diatriba alluminio sì – alluminio no negli alimenti, in molti preferiscono non usare i lieviti con alluminio, perché si lamentano di un retrogusto metallico nei prodotti da forno.
Inoltre, se i prodotti lievitati sono consumati dai bambini, sarebbe meglio evitare il lievito chimico con i fosfati e pirofosfati. I fosfati contenuti nei lieviti chimici contribuiscono alla quota di fosforo che ogni giorno ingeriamo con gli altri alimenti e quindi al superamento della soglia di sicurezza fissata, oltre la quale ci possono essere effetti collaterali poco simpatici. (da Fabipasticcio)
Che cos’è il cremor tartaro?
Il cremor tartaro altro non è che il bitartrato di potassio, sale dell’acido tartarico; è presente nel vino e nell’uva, è uno dei componenti della feccia, il deposito che si forma durante il riposo del vino successivamente alla fermentazione e che viene allontanata dal vino mediante travasi. Si deposita come sedimento cristallino sul fondo o sulle pareti di bottiglie, tini, vasche, botti et similia. Per evitare il deposito in bottiglia, oltre ai travasi, il vino è sottoposto ad una refrigerazione piuttosto rapida e ad un processo di stabilizzazione in vasca, proprio per provocare la precipitazione dei cristalli in questa fase e non dopo l’imbottigliamento. E’ codificato come E336.
All’inizio era il bicarbonato di sodio e…
Storicamente parlando, la lievitazione chimica nasce con l’aggiunta di bicarbonato di sodio – che nelle ricette anglofone è il baking soda – e di un ingrediente acido all’impasto. Gli ingredienti acidi erano la panna acida, l’aceto, il succo di limone, il latticello (buttermilk). La reazione è generalmente rapida e quindi la ritenzione delle bolle di anidride carbonica dipende dalla viscosità dell’impasto. Pensate ad un impasto di muffin e capirete…
Ma non tutti gli impasti sono come quello dei muffins, perciò serviva produrre un lievito, che permettesse alla reazione che produce il gas di essere sufficientemente ritardata.
Un po’ di storia direttamente da Wikipedia
“Anche se molti lieviti in polvere erano già in commercio nella prima metà del XIX secolo, le varianti moderne furono scoperte da Alfred Bird nel 1843. August Oetker, un farmacista tedesco, rese il lievito chimico molto popolare quando cominciò a vendere la miscela alle massaie. La ricetta che egli creò nel 1891 in Germania è ancora venduta con il nome diBackin. Oetker iniziò la produzione di massa del lievito in polvere nel 188 e lo brevettò nel 1903. Dopo la guerra civile americana Joseph e Cornelius Hoagland svilupparono una polvere lievitante con l’aiuto di un loro impiegato e la loro formulazione diventò conosciuta con il nome di Royal Baking Powder. La piccola compagnia infine si trasferì a New York intorno al 1890 e divenne il più grande fabbricante di lievito chimico. Eben Norton Horsford, uno studente di Justus von Liebig, che iniziò a studiare il lievito chimico nel 1856, giunse a svilupparne una varietà che denominò in onore di Benjamin Thompson, Conte di Rumford. A partire dalla metà degli anni 1860 la “Horsford’s Yeast Powder” fu sul mercato sotto forma di agente lievitante premiscelato invece che confezioni separati di fosfato acido di calcio e di bicarbonato di sodio. Questo era confezionato in bottiglie ma Horsford era interessato a usare lattine metalliche; questo richiedeva che la miscela fosse maggiormente resistente all’umidità. Questo venne ottenuto aggiungendo amido di mais e nel 1869 Rumford iniziò a fabbricare quello che può essere veramente considerato lievito chimico. Durante la Seconda guerra mondiale, Byron H. Smith, un inventore di Bangor, Maine, creò un prodotto sostitutivo per le massaie statunitensi che non erano in grado di avere cremore di tartaro o lievito chimico a causa della scarsità di cibo dovuta alla guerra. Smith mise in vendita una miscela di pirofosfato di sodio miscelato con amido di mais per rimpiazzare il cremore di tartaro con il nome di “Bakewell”. Quando miscelato con il bicarbonato di sodio, il prodotto si comportava come una polvere lievitante a singola azione, la sola differenza era che la componente acida era il pirofosfato di sodio.
Nel 2006 lo sviluppo della Rumford Baking Powder fu insignita del National Historic Chemical Landmark in riconoscimento dell’aver reso la fabbricazione dei prodotti da forno più facile, veloce e affidabile.”
Baking powder e baking soda sono la stessa cosa?
Assolutamente no.
Il baking powder è il lievito chimico, mentre il baking soda è il bicarbonato di sodio. Non possono essere interscambiati; alcune ricette necessitano di baking powder e non di baking soda e viceversa. A tale riguardo vi consiglio caldamente di leggere questo articolo di Amanda Greene. Se non sapete benissimo l’inglese, vi assicuro che le immagini saranno sufficientemente esplicative.
Quale è la dose giusta di lievito?
Quella che richiede la ricetta sembra la risposta ovvia. C’è da dire che in parecchie nazioni europee, Italia inclusa, abbiamo la bustina, ma altrove ci sono i cucchiaini (teaspoons). Armatevi di pazienza e cercate un buon convertitore.
In ogni caso, se l’impasto è piuttosto acido, una parte della polvere lievitante va sostituita con del bicarbonato di sodio per compensare l’acidità. Gli ingredienti che danno acidità all’impasto sono il latticello (buttermilk), gli agrumi, lo yogurt, l’aceto o il miele. Usando solo il lievito chimico in impasti acidi, l’acido contenuto nella polvere lievitante non reagisce completamente e questo può lasciare un retrogusto indesiderato alla preparazione.
Se l’impasto è basico e l’ingrediente acido è il pirofosfato di sodio, può accadere che nel prodotto finale il gusto sia amaro, perché l’acido reagisce in una sola fase e non in due, come dovrebbe essere (in chimica si chiama deprotonazione). Se invece gli ingredienti acidi sono i fosfati di calcio e di alluminio, il problema non sussiste, perché i meccanismi di reazione sono diversi.
Posso fare a casa il mio lievito chimico?
Nì.
Ciò è possibile nel caso in cui si voglia tornare ad usare il bicarbonato di sodio in associazione con il cremor tartaro, sebbene sia venduto già confezionato, miscelato in maniera accurata, senza glutine e anche vegano.
Nel caso si vogliano utilizzare altri ingredienti già menzionati, non è possibile a meno di non avere un laboratorio chimico.
Invece, è possibile utilizzare il bicarbonato di sodio in associazione con ingredienti acidi normalmente presenti in casa, quali il succo di limone, il latticello, lo yogurt e l’aceto. Molte torte al cioccolato americane hanno come agenti lievitanti bicarbonato di sodio (baking soda) e aceto.
Una curiosità…
In passato, quando il bicarbonato di sodio non era ancora così comunemente diffuso – il metodo Solvay fu messo a punto dal medesimo Solvay solo nel 1863 – veniva usata la liscivia, preparata a partire dalla cenere di legni duri, come ad esempio acero o frassino, che era preparata seguendo una certa procedura passo a passo.
Last but not least, l’ammoniaca
Attenzione! L’ammoniaca per dolci non è l’ammoniaca per le pulizie di casa.
Quella per dolci è un sale di ammonio, esattamente il carbonato di ammonio.
Da non confondere con il bicarbonato d’ammonio, sono due cose diverse.
Il bicarbonato d’ammonio (carbonato acido d’ammonio) è utilizzato come regolatore di acidità (codificato come E503) e anche come agente lievitante.
L’utilizzo in pasticceria del carbonato di ammonio è soprattutto nel ramo biscotti, in particolare in tutti quei biscotti che necessitano lunghe cotture. Viene utilizzata per le crostate e per i biscotti, non per la sua azione lievitante, perché in realtà lievita molto poco, ma perché rende il prodotto finale più friabile e leggero, ne mantiene la forma e ne aumenta anche la conservabilità – ne aumenta la shelf life, come si direbbe adesso.
Va sempre aggiunta all’impasto dopo essere stata sciolta nel latte tiepido, facendo attenzione allo strabordamento assicurato.
Inoltre, poiché è tossica se inalata o ingerita prima della cottura, è bene maneggiarla con cautela. Ad esempio, areare bene il locale dove si sta utilizzandola, accendere la cappa aspirante per farla evaporare bene. Sebbene evapori bene già in forno, l’uso della cappa aspirante è consigliato anche dopo la cottura del prodotto. Bisogna che sia fatta evaporare molto bene dal prodotto finale, altrimenti lascia uno sgradevole retrogusto amaro.
Per inciso, anche l’ammoniaca è idrato di ammonio, ma per aver scritto questo post ho chiesto una indulgenza plenaria alla IUPAC, l’organizzazione che tra le altre cose si occupa della standardizzazione della nomenclatura chimica. Io ho utilizzato i nomi comuni e non la nomenclatura IUPAC, i chimici probabilmente non mi perdoneranno mai… o forse sì dietro compenso di chili di biscotti.
Fabiana Corami Fabipasticcio
Fonti bibliografiche
http://www.my-personaltrainer.it
http://it.wikipedia.org/
http://en.wikipedia.org/
http://www.food.com/
http://www.huffingtonpost.com/amanda-greene
http://papillevagabonde.blogspot.it/
http://www.gustoblog.it/
note personali
Fonti visive
soulnet.com
bigoven.com
www.charlesprogers.com
kingarthurfluor.com