Nell’ultimo decennio numerosi studi, non soltanto di tipo medico-scientifico, stanno occupandosi della celiachia e della Dieta Gluten Free (da adesso DGF) in ambiti differenti: studi semiologici, marketing, economia, psicologia ed educazione) .
Tra questi anche la sociologia ha posto il suo sguardo scientifico sul tema della socialità e sulle possibili problematiche socio-relazionali che la diagnosi di celiachia, e la dieta senza glutine, possono scaturire nella vita di un individuo celiaco e della sua famiglia.
Lo stesso Ministero della Salute già nel 2005 definisce:
La malattia celiaca o celiachia è una intolleranza permanente al glutine, ed è riconosciuta come malattia sociale. (legge 123/05).
La celiachia potrebbe essere definita “disabilità invisibile”, (Battisti, Esposito 2008), qualcosa che durerà per il resto della vita, ma che non lascia, o porta con sé segni esteriori.
La difficoltà sarà dire a M., che questa intolleranza è a vita! Lui spesso ci chiede se quando avrà 10 anni potrà mangiare le merendine.
L’unica “cura”al momento possibile è una sana, rigorosa e adeguata dieta senza glutine.
Ed è proprio attorno alla dieta senza glutine che si gioca la sfida dell’accentazione e della buona convivenza con essa. Si, perché, come già sottolineato in un precedente post, i cambiamenti che la DGF causa nella vita delle persone celiache, non riguardano solo il piano strettamente alimentare, ma anche e soprattutto, la sfera sociale (che entra in gioco nella condivisione dei pasti, nell’alimentazione fuori casa, nell’esigenza di una maggiore attenzione nei diversi contesti sociali: famiglia, scuola, relazioni amicali e professionali, luoghi di ristoro, ecc).
Gli studi italiani in questo settore sono portati avanti con grande professionalità dal prof. Cleto Corposanto, docente di Sociologia presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro.
Dalla lettura della raccolta delle sue “storie di malattia”, emerge come l’adozione della DGF comporta un “danno sociale” che limiterà la possibilità di avere alcune relazioni sociali legate alla commensalità, in casa e fuori casa.
Relazioni familiari: allora, in famiglia nessuno è entrato nell’ottica. Mio padre si mangia le merendine senza glutine da 10 euro a pacco dicendomi di non rompere perché tanto mi mangio sia quelle con glutine che senza.(…) Mia madre quando vede che prendo la pentola per cucinare la pasta a parte, m’insulta dicendo che non è possibile che consumo acqua e gas in più… inoltre da quando ho scoperto di essere celiaca mette la farina ovunque.
Questa breve storia ci ricorda quanto sia importante in famiglia informarsi ed informare in maniera adeguata chi ci sta vicino, stabilire con le persone care un buon livello di comunicazione, evitando che la parola celiachia diventi un tabù in famiglia e con gli amici.
Per altro verso, spesso, diventa difficile per i celiaci, bambbini e/o adulti, riuscire a far comprendere agli altri (amici, nonni, zii) che il non accettare una semplice caramella/cibo non è segno di scortesia e neanche un estremo senso di protezione imposto dai genitori, ma solo un modo per evitare il peggioramento di una condizione di salute delicata.
Il problema sorge con […] gli “amici non stretti” […] inizialmente spiegavo a tutti in cosa consiste la celiachia, cosa si può mangiare e cosa invece non è permesso. Spesso però venivo considerata esagerata […]
Quindi, nell’ambito delle relazioni extrafamiliari potrebbe accadere che l’adozione della dieta priva di glutine, soprattutto all’inizio, comporterà una riduzione di quello che Corposanto definisce “capitale sociale” (Corposanto, 2008), ovvero la qualità e la quantità di relazioni sociali di cui dispone un individuo, affinchè possa usufruire di una o più risorse a livello individuale.
Genitori e figli affrontano situazioni difficili da gestire a livello emotivo:
A molti amici ho proposto di assaggiare i cibi senza glutine, incuriositi dal problema … i quali hanno decretato persino che sono prodotti commestibili … ma alla fine io personalmente ho sentito grandi allontanamenti … stranamente in concomitanza dell’esternazione della diagnosi (Mamma di una bambina celiaca).
Un semplice invito a cena, in pizzeria o a casa di amici, può diventare un momento frustrante, poiché dovranno essere pronti a dare spiegazioni sul perché di una certa dieta, del perché sarebbe più conveniente andare a cena fuori in un locale gluten free piuttosto che in altri, ecc. In questi casi è importante non bloccarsi davanti all'”ostacolo” o aggirarlo (evitare le future uscite, declinare inviti, ecc), bisogna trovare “la giusta mediazione con le giuste persone”.
Non dimentichiamo inoltre, che il nostro vissuto emotivo e le il nostro modo di relazionarci con la celiachia e la DGF, influirà fortemente sui vissuti dei nostri ragazzi e sui loro modi di approcciarsi a questa “nuova abitudine”.
Sulla scia della raccolta e dello studio delle storie di malattia, e prendendo spunto dagli studi di importanti sociologi come Twaddle e Maturo, Corposanto amplia ed elabora un modello di lettura e di approccio alla malattia (applicabile quindi anche alla celiachia), che tenga conto di sei dimensioni, recuperando nello specifico la dimensione del danno sociale e relazionale, particolarmente significativa per la celiachia e la DGF:
L’esagono innanzitutto può essere suddiviso in due parti:
- nella parte sinistra vi sono costrutti che fanno riferimento alla valenza medica e individuale della malattia: senso che ciascuno dà alla malattia-celiachia, malattia vera e propria e sofferenza fisica;
- la parte destra invece è occupata da costrutti legati alla dimensione sociale e comunitaria: cambiamento del proprio ruolo sociale, le rappresentazioni sociali della celiachia e le ripercussioni sulle reti sociali e relazionali connesse ad essa.
Il Modello ESA offre un modello di approccio e presa in carico della celiachia (e malattie, in generale) più completo. Oltre a mantenere presente il vissuto soggettivo della sofferenza fisica e psicologica dovuto al pre e post-diagnosi, tale modello mette in evidenza, con i concetti di sickness istituzionale, sonetness e sickscape, come la celiachia possa influire notevolmente sulla vita socio-relazionale dei celiaci, modificando le relazioni familiari, amicali, già presenti o future.
Questi studi rappresentano, a mio avviso, non soltanto un punto dal quale partire per poter migliorare il supporto medico e/o psicologico ai celiaci; essi evidenziano, la necessità di un coinvolgimento di tutte quelle scienze e attori sociali (associazioni, enti territoriali, medici di base, ecc) coinvolti nel mondo della celiachia, al fine di poter realizzare il tanto desiderato approccio interdisciplinare, non soltanto per rispondere ad esigenze di “malessere” (bio-psico-sociale) ormai conclamato, quanto per prevenire possibili situazioni di disagio.
FONTI:
– Corposanto, C. (2011) Celiachia, malattia sociale. Un approccio multidisciplinare alle intolleranze alimentari. FrancoAngeli, Milano.
– Battisti, F.M., Esposito, M. (2008) Cronicità e dimensioni socio-relazionali, FrancoAngeli, Milano.
– Legge 4 Luglio 2005, n°123 (http://www.parlamento.it/parlam/leggi/05123l.htm).
– Link a post precedenti sull’argomento.
Immagini tratte da fonti bibliografiche.
hai scritto cose sacrosante! ogni celiaco mi sa che ha storie più o meno odiose da raccontare! Bravissima Vale!
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