Nel nostro percorso per capire le varie “diete” era doveroso fermarci a parlare con una persona che ha una cultura gastronomica immensa e che è stato un pioniere della cosiddetta cucina etnica in Italia: Jean Michel Carasso.
Nato in Congo da padre di famiglia ebrea greca e madre francese di origini russe è uno dei grandi esperti di cucina kosher, una cucina nella quale evitare la contaminazione tra certi alimenti è una regola spirituale.
Jean Michel Carasso ha recentemente pubblicato un bellissimo libro sulla cucina greca che vi raccomandiamo caldamente di leggere, perché vi farà conoscere piatti e sapori di una cultura alimentare profondamente mediterranea e spesso nascosta dai cliché turistici.
GFT&L. La prima domanda che facciamo di rito è: chi è Jean Michel Carasso?
JMC: È un cuoco “multietnico” francese ed ebreo che vive in Italia dal 1979. Dopo avere gestito le cucine di diversi locali “alternativi” a Firenze, la cucina del ristorante ebraico di Firenze e un ristorante tutto suo, ha deciso di dedicarsi al settore banqueting/catering, sempre in chiave multietnica, mettendosi a disposizione delle compagnie di banqueting/catering e offrendogli la possibilità di proporre buffet, cene o altro con specialità di tutto il mondo. Attualmente, avendo raggiunto una venerabile età (69 anni) ed essendo ufficialmente in pensione, si dedica alla diffusione delle cucine “altrui” con tutti i mezzi possibili: insegnamento, home-cooking, cooking-show, libri, trasmissioni televisive, videoricette, articoli, e chi più ne ha più ne metta. Ha creato, insieme a Luisa Ghetti, una struttura “light” che gestisce tutte queste attività: Cucinare Lontano, che potete trovare su Facebook (https://www.facebook.com/cucinarelontano) o sui nostri blog: htttp://cucinarelontano.blogspot.it e http://www.ilmondodiluvi.blogspot.it.)
GFT&L. Sei stato un grande anticipatore della cucina etnica in Italia, e proprio a Firenze in cui è fortemente radicata la tradizione. Come hai iniziato a introdurre la cucina del mondo e che cosa è cambiato in questo tempo?
JMC: Ho iniziato a proporre piatti stranieri nel primo locale nel quale ho lavorato, nel lontano 1980. All’epoca a Firenze e credo in Italia, era una novità assoluta, ma i fiorentini reagirono con curiosità ed interesse. Dopo pochi anni gli italiani cominciarono a viaggiare lontano, nacque il “Couscous Fest” sotto l’egida di Vittorio Castellani (Chef Kumalè), cominciarono a fiorire iniziative multietniche un po’ dappertutto, poco a poco cominciarono ad arrivare gli immigrati del Terzo Mondo, prima alla spicciolata poi in massa, e come sappiamo l’Italia si riempì di locali, ristoranti, fast-food, negozi e addirittura supermercati “etnici”, gestiti da gente di tutto il pianeta o quasi. La vecchia comunità cinese stessa si espanse a dismisura, ed eccoci qui, oggi, in una Italia realmente (e finalmente) multietnica, dove, insieme a Castellani a Torino, io continuo a fare il mio lavoro di promotore, urtandomi alle resistenze gastronomiche locali che impediscono, malgrado la vicinanza, uno sviluppo reale e forte della cultura gastronomica “degli altri”. C’è ancora molto da fare…
GFT&L. Come si inserisce la cucina ebraica nella tua esperienza di cuoco e comunicatore? E quanto si conosce della cucina ebraica in Italia?
JMC: La cucina ebraica è quella della mia famiglia, quindi mi viene naturale cucinare ebraico quando serve, tanto più che mia madre era askenazita e mio padre sefardita, quindi conosco perfettamente i due poli principali. Ho imparato poi la cucina ebraica italiana, che è un settore a sé (gli ebrei italiani, di antichissima presenza, si definiscono Italkim, e non sefarditi), e anche qui, attraverso cene speciali o eventi particolari, partecipo alla diffusione in un Italia che stranamente, anche se ha avuto gli ebrei per vicini di casa per quasi 2000 anni, sa abbastanza poco della loro cucina.
GFT&L. Qual è secondo te il retaggio che ha lasciato la cucina ebraica nella tradizione italiana? Secondo Claudia Roden nel suo libro sulla cucina ebraica, l’Italia deve molto alla cucina ebraica e sefardita in particolare , ad esempio la diffusione dell’olio d’oliva e anche del Pan di Spagna, sei d’accordo?
JMC: Il retaggio è sicuramente rilevante, ma in certe zone più che in altre. In Toscana, per esempio, è praticamente irrilevante, mentre in Veneto, in Friuli, in Piemonte, in Emilia-Romagna, in Marche e nel Lazio (in particolare a Roma) è notevole, anche se tanta gente non sa che alcuni piatti della loro tradizione sono di origine ebraica. Nel meridione d’Italia non esistono più comunità ebraiche dal tempo dell’Inquisizione, e a parte poche ricette e pochi ingredienti, le tracce della presenza ebraica si sono perse. La diffusione dell’olio d’oliva è dovuta più alla crescente capacità economica delle classi meno abbienti che alla presenza ebraica, anche se gli ebrei usavano l’olio d’oliva quando tutti usavano lo strutto di maiale, mentre il pan di Spagna, in effetti, è un tipico apporto ebraico sefardita, come la melanzana, gli agrumi ed altre cose, che sono comunque tutti elementi culinari che gli ebrei ereditarono a loro volta dagli arabi.
GFT&L. Sappiamo che il tema è vasto, ma potresti spiegare ai nostri lettori cosa è la Kasherut e quali sono i principali precetti e principi che sottintendono anche una forte ritualità legata al cibo.
JMC: Per non tediare i vostri lettori con una risposta che dovrebbe costituire un intero capitolo, rimando all’articolo esaustivo che ho scritto per la rivista web Di Testa e di Gola: http://www.ditestaedigola.com/la-kesherut-ebraica/.
GFT&L: Come sai i celiaci e sensibili al glutine sono sempre in lotta con la contaminazione incrociata e la presenza di tracce, anche nella cucina kosher esiste l’attenzione a non contaminare alcuni cibi con altri, in particolare carne con latte, o le farine e i lieviti durante Pèsach. Come viene gestita nelle case e nella ristorazione questa situazione?
JMC: In effetti, le contaminazioni di cui parlate qui sono le due principali contaminazioni proibite dalla Kasherut. Nelle case si gestiscono con l’attenzione e la separazione dei materiali, degli ingredienti e degli utensili da cucina. Oggi non è particolarmente difficile perché le attrezzature sono reperibili e costano il giusto, ma nel passato implicava spesso la separazione addirittura degli ambienti dove si cucinava, separazione che esiste tuttora nei ristoranti, che per la maggior parte offrono “cucina di latte” (vegetali, latticini e pesce) o “cucina di carne” (carne, pesce, vegetali e niente latticini). I pochi ristoranti grandi che offrono tutte e due le cucine devono avere cucine e ambienti completamente separati. A Pèsach (Pasqua ebraica), si effettua sia in casa che nei ristoranti una “pulizia” da tutto ciò che potrebbe lievitare o risulta da una lievitazione, e si usano attrezzature riservate esclusivamente alle tre settimane di Pèsach.
GFT&L. Sappiamo che c’è una piccola diatriba tra cucina askenazita e sefardita; si dice che la cucina askenazita sia povera e quella sefardita ricca di ingredienti e sapori. È proprio così?
JMC: La cucina askenazita, nella misura in cui è originaria dei paesi dell’Est europeo, è sicuramente più povera della cucina sefardita, originaria del Sud. Nei paesi freddi, si sa, crescono molto meno cose che nei paesi dal clima più mite o addirittura caldo; è più difficile allevare bestiame, è più difficile trovare grassi vegetali buoni, e nei secoli di elaborazione della cucina askenazita non esistevano scambi commerciali importanti come nel Sud e gli ingredienti vari non pervenivano facilmente come oggi, quindi la cucina askenazita siè sviluppata in economia molto più di quella sefardita nata in zone calde dell’Europa, nel Medioriente e nel Nord Africa, dove tutto era più ricco e abbondante. Ma con il poco che avevano, le donne askenazite cucinavano cibi molto saporiti lo stesso, giocando con i condimenti, le erbe, alcune spezie e… la loro fantasia.
GFT&L: Hai scritto un bellissimo libro sulla cucina greca, che a parte 3-4 piatti è poco conosciuta in Italia, Ma la cucina greca, mediterranea senza dubbio, è più vicina al medio oriente o all’Italia?
JMC: Direi cheè senza dubbio più vicina alla cucina mediorientale, attraverso l’importante apporto turco, ma le basi sono le stesse della cucina italiana del meridione, con altri condimenti, magari più orientali. Quando non si tratta di piatti molto particolari, la cucina greca è perfettamente riconoscibile e molto apprezzata dagli italiani in generale.
GFT&L: Hai dei libri o degli autori che ti hanno formato e ispirato come gastronomo, uomo di cultura del cibo e chef?
JMC: Qui si apre un capitolo immenso. Possiedo circa 400 libri di cucina, con ricette, racconti e illustrazioni, libri di tutto il mondo in diverse lingue (per fortuna ne parlo 5 e riesco a leggere ricette in altre tre o quattro), e posso dire che tutti, quasi senza eccezione, mi hanno dato qualcosa e mi hanno aiutato a formarmi. Da pochi anni sono anche un grande fruitore di Internet che, come sappiamo, è anche una immenso archivio di cucina. Comunque, Claudia Roden rimane sempre il mio punto di riferimento per il Medioriente e la cucina ebraica, al punto che le ho dedicato il prossimo libro, scritto con Luisa Ghetti, sulle cucine del mondo. Mi capita ogni tanto di sentirla per telefono: è una donna con una cultura culinaria sterminata!
GFT&L: Un altro dibattito eterno è quello tra tradizione e innovazione in cucina. Come vedi questa dicotomia? Cosa resterà della cucina molecolare?
JMC: Non ho la palla di cristallo, e se ce l’ho ha le batterie scariche, ma spero che qualcosa resterà; perché è molto interessante. Naturalmente, essendo una cucina allo stadio sperimentale, deve essere praticata da cuochi molto bravi e che abbiano una cultura culinaria vasta, altrimenti diventa solo un giochino ad effetto, quello sì senza futuro.
GFT&L: Cosa pensi della tendenza vegetariana o vegana, il raw-food e in generali delle mode alimentari? Sono di passaggio o si consolideranno?
JMC: Io distinguerei: la cucina vegetariana è ormai una cucina tradizionale a tutti gli effetti, soprattutto in Oriente. La cucina vegana mi sembra parecchio discutibile perché parecchio innaturale, ma essendo comunque di nicchia non coinvolge il grande pubblico e non credo che lo coinvolgerà mai. Il “crudismo”… ehm… lasciamo perdere, questa si che è una moda passeggera, secondo me. Sulle altre mode non ho idee.
GFT&L: Non c’è buona cucina senza buoni ingredienti. Secondo te abbiamo buoni prodotti in generale? Parliamo a livello casalingo, ovviamente. Sentiamo parlare di terre dei fuochi e altre notizie di salute alimentare non proprio rassicuranti.
JMC: Il mondo, sicuramente, va in una direzione ecologicamente sbagliata, e l’alimentazione ne risente. È vero che i rischi e i pericoli sono dietro l’angolo, ma dalle nostre parti, Terra dei Fuochi o meno, è ancora possibile alimentarsi in maniera sana se mettiamo in pratica i concetti che la nostra cultura generale ci permette di assimilare. Più difficile e dannoso è lo scempio ecologico nelle zone dove miseria e incultura impediscono alla gente di discernere. Noi, non so per quanto ancora, siamo comunque privilegiati.
GFT&L:È vero che in Italia si mangia così bene diffusamente o ci sono delle zone d’ombra? Non si parla un po’ troppo a livello mediatico di cibo e che contributo dà tutto questo parlare a migliorare l’alimentazione e la ristorazione?
JMC: In Italia, se si scelgono i posti giusti, si mangia bene dappertutto, nelle case come nei ristoranti, non c’è dubbio. Zone d’ombra non ne vedo. Ma ripeto: bisogna scegliere bene, oggi è abbastanza facile. Per quanto riguarda l’ ego ipertrofico del “Food”, ai nostri tempi, non credo che possa nuocere, anzi: contribuisce a coinvolgere e sensibilizzare molta gente che magari una volta non era interessata all’argomento. Semmai è esagerato lo star-system che fa dei cuochi delle divinità dell’Olimpo del Gusto, mentre, alla fine, sono degli artigiani come gli altri, chi più bravo chi meno bravo, ma sempre artigiani. Purtroppo il mondo dei soldi ha scoperto un filone che non mollerà presto…
GFT&L: E quanto resisterà la moda della cucina italiana all’estero o ormai è diventata veramente “patrimonio dell’umanità”?
JMC: Patrimonio dell’Umanità è qualsiasi cucina, non solo quella italiana. La cucina italiana spicca perché è buona, perché è carica di romanticismo, perché è la rappresentazione culinaria di uno dei paesi più belli del mondo, e perché gli italiani hanno saputo venderla. Poteva capitare ad altre cucine, è capitato a quella italiana. Oddìo, oggigiorno ha una concorrente molto”pericolosa”: la cucina giapponese. Comunque non credo che l’amore dimostrato nel mondo alla cucina italiana sia una moda, penso piuttosto che sia una grande scoperta che si va assestando.
GFT&L:Se volessi dare un consiglio a una mamma per educare il palato o la curiosità alimentare dei suoi figli che cosa suggeriresti?
JMC: Di fargli mangiare di tutto ma non obbligarli mai a mangiare cibi che di tutta evidenza non gli piacciono. Il consiglio è destinato anche al papà… 🙂
Grazie Jean Michel, parlerremmo per ore con te. Per ora ti diciamo arriverderci e a presto!